Miscelare il caffè: le curiosità (Parte 3)

Ti sei mai chiesto quali chicchi della miscela troverai all’interno del portafiltro? Io, personalmente, molte volte mi sono chiesto, dopo aver creato una miscela di tre o quattro monorigini, se i chicchi di diversa provenienza sarebbero stati macinati nella stessa misura in cui erano presenti nella miscela. Cioè mi sono chiesto se ad esempio un Costarica presente nella mia miscela al 25% sarebbe stato presente nella stessa misura anche negli 8 grammi della dose per l’espresso. E così per tutti gli altri componenti della miscela.

La stessa domanda si sono posti i ricercatori dell’Università di Chicago i quali nel 2008 hanno condotto un interessante studio su come i chicchi di una miscela si distribuiscono statisticamente nella campana, nel portafiltro e quindi poi nella tazzina.

Premesso che per 8 grammi di caffè servono circa 56 chicchi e 112 per una dose doppia di 16 grammi, è risultato che maggiore è la dose, minore sarà l’errore, cioè la differenza tra la percentuale realmente in miscela e la percentuale di chicchi di una certa monorigine nel gruppo di 56 o 112. Altresì maggiore la percentuale di una certa monorigine in miscela minore sarà l’errore.

In ogni caso siate pur certi che, nella migliore delle ipotesi, almeno il 50% delle tazzine non conterranno la percentuale esatta dei chicchi presenti in miscela!

Miscelare il Caffè per l’Espresso Italiano

Nella prime due parti di questo articolo abbiamo discusso in generale delle regole della miscelazione del caffè: spiegato le ragioni per le quali un torrefattore crea una miscela e fornito alcuni utili strumenti per eseguire questa tecnica nella maniera più accurata.

Adesso entriamo più in dettaglio nella tecnica della miscelazione per l’espresso italiano.

Sono più d’una le definizioni di espresso italiano scritte nel tempo e degne di credito ma, di sicuro, tra tutte possiamo ritenere particolarmente profonda e solida quella fornita dagli esperti dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano di Brescia che qui riportiamo alla lettera: “L’Espresso Italiano si presenta alla vista con una crema di colore nocciola, tendente al testa di moro e distinta da riflessi fulvi. Questa crema ha una tessitura finissima, vale a dire che le sue maglie sono strette e sono assenti bolle più o meno grandi.

All’olfatto ha un profumo intenso che evidenzia note di fiori, frutta, pane tostato e cioccolato, tutte sensazioni che si avvertono anche dopo la deglutizione, nel lungo aroma che permane per decine di secondi, a volte per minuti.

Il gusto è rotondo, consistente e vellutato, l’acido e l’amaro risultano bilanciati senza che vi sia prevalenza dell’uno sull’altro e l’astringente è assente, o comunque di ridottissima percezione”. Perciò, riepilogando e sintetizzando: crema vellutata e persistente di colore nocciola tendente al rossastro, aroma e gusto intensi, moderati acidità e amaro, lungo e piacevole retrogusto.

Partiamo da questa definizione per disegnare delle linee guida per la creazione di una miscela per espresso italiano.

Per semplificare proviamo a distinguere in due gruppi l’intero set di caratteristiche dell’espresso: corpo, crema e colore da una parte che chiameremo attributi fisici, aroma, gusto e retrogusto dall’altra che chiameremo più sinteticamente flavor.

Quindi un primo gruppo di monorigini ci darà un importante contributo al primo set di caratteristiche con una bassa incidenza sul secondo set e viceversa utilizzeremo un secondo gruppo di monorigini per il contributo che cerchiamo allo sviluppo del flavor. Si tratta ovviamente di una semplificazione, ma il concetto è questo: considerare separabili le caratteristiche fisiche da quelle legate al flavor.

Il primo passo per la creazione di una miscela per espresso italiano è la selezione della base cioè di quella monorigine che sarà presente in percentuale maggiore, dal 40 al 60%. Dolcezza, corpo e bassa acidità saranno le caratteristiche principali della base e sono proprio quelle che troviamo negli arabica brasiliani naturali o semilavati e negli indiani monsonati.

La base ha il solo ruolo di conferire alla miscela l’identità di espresso italiano. Essa può anche essere a sua volta una miscela di monorigini tra quelle sopra descritte con lo scopo di ottenere una maggiore costanza durante l’anno e negli anni. La base, rappresentando la struttura portante della miscela, deve continuamente essere monitorata affinchè eventuali cambiamenti da un lotto ad un altro non provochino disastri.

A questo punto il torrefattore deve decidere se inserire o meno in miscela della robusta. Sebbene una miscela per espresso di qualità superiore sarà di soli caffè arabica, evitare la robusta per il solo pregiudizio può essere dannoso al proprio business. Il pregiudizio nei confronti della robusta deriva dal retrogusto gommoso e amaro di taluni caffè comunemente disponibili. La robusta superiore invece viene coltivata ad altitudini elevate e i chicchi vengono raccolti e lavorati con la stessa cura e attenzione dei migliori arabica, sono difficili da trovare e spesso costano più di molti caffè arabica.

La qualità dell’espresso italiano può essere migliorata utilizzando in miscela una robusta di qualità che in tazza risulta pulita, morbida e pastosa. Infatti essa sarà capace di aggiungere alla bevanda un po’ di caffeina per il consumatore che cerca una spinta in più e di esaltare la ricchezza e la persistenza della crema senza nulla togliere al flavor.

Uganda, Indonesia, Messico e India sono paesi produttori di caffè robusta di ottima qualità. La concentrazione che si sceglierà in miscela in genere non dovrebbe superare il 20%. L’obiettivo in pratica è sfruttare il contributo della robusta senza poterla effettivamente rilevare in tazza.

Definita la base e stabilito se inserire o meno del caffè Robusta in miscela, si può passare a caratterizzare la miscela con l’inserimento di una o due monorigini che chiameremo la “firma” del torrefattore. Evidentemente l’acidità e l’aroma sono le caratteristiche che maggiormente interessano in questa o queste monorigini ed è uno dei modi in cui il torrefattore si differenzia dai concorrenti. Acidità malica tipica di alcuni centroamericani come il Costarica, citrica per il Kenya, aromi intensi per Etiopia Sidamo, Harrar e Yirgacheffe oppure Guatemala Huehuetenango. Consiglio vivamente di limitare i caffè particolarmente acidi ad un 20%.

Lo scopo di questi caffè infatti sarà solo quello di rendere la bevanda più luminosa e non certo di conferirgli un diverso carattere. La scelta di questi caffè è in parte condizionata dai gusti personali, in parte dalla scelta della base: solo in assaggio infatti si capirà la compatibilità con essa. La firma sarà contenuta in miscela per il 20-30% al massimo, quantità sufficiente a rendere unica la bevanda.

L’ultimo atto per la definizione della miscela è il bilanciamento finale. Lo scopo principale di questo passaggio è garantire che tutte le componenti della miscela siano in equilibrio tra loro e nessuna caratteristica particolare domini il blend. L’espresso che cerchiamo infatti dovrebbe scivolare dolcemente in gola come un gran vino invecchiato, non colpirci come un proiettile in mezzo agli occhi. Piuttosto che sorprenderci di meraviglia, deve rassicurarci come un abbraccio affettuoso.

E’ utile infine sottolineare ancora una volta che la scelta dei caffè per la nostra miscela, a meno che essa non rappresenti solo un esercizio accademico, deve essere fatta tenendo conto della reale possibilità di disporre di quei caffè anno dopo anno.

Un’ultima considerazione ancora sul numero di caffè presenti in miscela. Come abbiamo evidenziato all’inizio di questa parte dell’articolo (non era semplicemente una curiosità) un numero elevato di caffè diversi porterà ad errori di estrazione più frequenti perché maggiore è la possibilità che nella dose non vi siano esattamente le stesse percentuali previste nella miscela. Un numero massimo di 3-4 monorigini riduce notevolmente questo problema. L’alternativa sarebbe macinare una gran quantità di caffè e miscelare continuamente con conseguente invecchiamento del caffè nel macinadosatore.

Buon divertimento!

Angelo Napoli è un imprenditore, fondatore del gruppo lng. Napoli & C. l’azienda produttrice di Tostabar, la prima tostatrice di caffè per bar. Ha conseguito la certificazione di Q Arabica Grader presso il CQI, entrando cosi a far parte della più ristretta cerchia di assaggiatori professionisti di caffè. È autore del libro "Tostare il caffè da vero Professionista”. Ha inoltre coor­dinato progetti di ricerca sul caffè e cura come relatore tesi di laurea sul caffè presso l'Università di Basilicata.

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